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Civitavecchia e il sorriso di Karol

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La semplice bara di legno chiaro e quel grande Vangelo che non smetteva di lasciarsi sfogliare dal vento; oggi “ritornava alla casa del padre” il Papa amato da tutti,  Karol Józef Wojtyła , era il 2 aprile del 2005 e Piazza San Pietro non era mai stata così gremita di palpiti e di fedeli.

Il battito del cuore corre veloce al ricordo di ciò che rappresentò sulla terra come vero Vicario di Cristo. E come un disegno perfetto del cielo in questi tempi di Quaresima e di cordoglio per le vittime che affollano i nostri sguardi, ovunque proviamo a posarli, non possiamo non comprendere ancora una volta l’importanza dell’ eredità lasciataci da questo grande uomo: l’importanza della Croce.

Una testimonianza di vita unica la sua trascorsa lungo le stesse venature che solcavano il legno su cui era stato trafitto il Redentore. In ogni viaggio e in tutte le udienze a cui prendeva parte, il suo viso sorridente assorto o in contemplazione durante la preghiera, si appoggiava spesso, toccando appena con la fronte, all’imponente Ferula.

Wojtyla portava avanti con grande coraggio il nome di Cristo e lo faceva senza alcun compromesso lontano dalla strada dell’ecumenismo e della nuova metodica di approcciare ai Comandamenti. Era un cuore coraggioso diretto da una mente umile ma sapiente. Di quest’uomo ricordiamo la luce, la dolcezza intrisa del volto della Vergine ma anche la fermezza nel ricordare al mondo che Cristo non si baratta e che il giudizio di Dio non segue i tempi di attesa degli uomini.

Dio conosce ogni uomo, ne conosce le debolezze ed è sempre pronto ad aiutarlo ma l’uomo a sua volta deve collaborare affinché Dio possa salvare la sua anima. L’insegnamento di Karol è quello di accettare con gioia anche il dolore perché questo è “la maturazione inevitabile dell’anima”.

Eppure, in un tempo così buio come quello che stiamo vivendo questa stessa Croce diventa il simbolo della vita che ci spiega che è proprio attraverso il dolore che possiamo capire l’indirizzo giusto da prendere.

In questo giorno di lenta consapevolezza Civitavecchia ricorda l’importanza di erigere a memoria di questo splendido Papa una statua che lo rappresenti e che sia testimonianza di fede e di appartenenza. E se una domanda attanaglia alcune volte i nostri cuori, ora così lacerati, la risposta è una sicura certezza: come finisce la Passione se non con la Resurrezione?

Fabiana D’Urso

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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La semplice bara di legno chiaro e quel grande Vangelo che non smetteva di lasciarsi sfogliare dal vento; oggi “ritornava alla casa del padre” il Papa amato da tutti,  Karol Józef Wojtyła , era il 2 aprile del 2005 e Piazza San Pietro non era mai stata così gremita di palpiti e di fedeli.

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Una testimonianza di vita unica la sua trascorsa lungo le stesse venature che solcavano il legno su cui era stato trafitto il Redentore. In ogni viaggio e in tutte le udienze a cui prendeva parte, il suo viso sorridente assorto o in contemplazione durante la preghiera, si appoggiava spesso, toccando appena con la fronte, all’imponente Ferula.

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In questo giorno di lenta consapevolezza Civitavecchia ricorda l’importanza di erigere a memoria di questo splendido Papa una statua che lo rappresenti e che sia testimonianza di fede e di appartenenza. E se una domanda attanaglia alcune volte i nostri cuori, ora così lacerati, la risposta è una sicura certezza: come finisce la Passione se non con la Resurrezione?

Fabiana D’Urso

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